Uno studio ripercorre la dinamica della famigerata eruzione che sommerse Pompei. E i ricercatori sottolineano l'inadeguatezza dell’attuale Piano di emergenza e la necessità di estendere la zona rossa ben oltre gli attuali limiti
Il Vesuvio è lì, dormiente. Ma se eruttasse, ilrischio per le vite umane potrebbe estendersi a distanze superiori ai 15 chilometri dal cono. Distante per le quali, fino ad oggi, sembrava non esserci alcun rischio. Tutta la città di Napoli da un lato, l’area che comprende Castellammare di Stabia dall’altro.
Non sono certamente improntati all’ottimismo irisultati di un nuovo studio interdisciplinare sull’eruzione del Vesuvio portato a termine dai vulcanologi dell’Osservatorio Vesuviano-Ingv Giuseppe Mastrolorenzo e Lucia Pappalardo e i biologi Pierpaolo Petrone e Fabio Guarino dell’Università Federico II e appena pubblicato sulla rivista Plos One. “Questi nuovi dati – sottolineano i ricercatori - confermano l’inadeguatezza dell’attuale Piano di emergenzae la necessità di estendere la zona rossa ben oltre gli attuali limiti”.
E sono dichiarazioni che, di questi tempi, rischiano di destare più d’una preoccupazione: tutti hanno ancora negli occhi le spettacolari immagini del vulcano islandese che ha bloccato i cieli di mezza Europa, mentre il capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, ha già parlato di rischi concreti
Ma lo studio del team napoletano sviscera anche le dinamiche della più celebre eruzione della storia, quella che sommerse Pompei nel 79 dopo Cristo: i pompeiani, allora, non furono uccisi dalla cenere(come si credeva) ma da un’insostenibile ondata di calore. Fu l’esposizione ad altissime temperature (fino a 600 gradi), causata dal passaggio di una nube ardente a bassa concentrazione di cenere ma di notevole spessore, a seminare la morte nell’antica cittadina romana. Qualcosa di molto simile – spiegano i ricercatori – ad un’esplosione nucleare.
Non sono certamente improntati all’ottimismo irisultati di un nuovo studio interdisciplinare sull’eruzione del Vesuvio portato a termine dai vulcanologi dell’Osservatorio Vesuviano-Ingv Giuseppe Mastrolorenzo e Lucia Pappalardo e i biologi Pierpaolo Petrone e Fabio Guarino dell’Università Federico II e appena pubblicato sulla rivista Plos One. “Questi nuovi dati – sottolineano i ricercatori - confermano l’inadeguatezza dell’attuale Piano di emergenzae la necessità di estendere la zona rossa ben oltre gli attuali limiti”.
E sono dichiarazioni che, di questi tempi, rischiano di destare più d’una preoccupazione: tutti hanno ancora negli occhi le spettacolari immagini del vulcano islandese che ha bloccato i cieli di mezza Europa, mentre il capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, ha già parlato di rischi concreti
Ma lo studio del team napoletano sviscera anche le dinamiche della più celebre eruzione della storia, quella che sommerse Pompei nel 79 dopo Cristo: i pompeiani, allora, non furono uccisi dalla cenere(come si credeva) ma da un’insostenibile ondata di calore. Fu l’esposizione ad altissime temperature (fino a 600 gradi), causata dal passaggio di una nube ardente a bassa concentrazione di cenere ma di notevole spessore, a seminare la morte nell’antica cittadina romana. Qualcosa di molto simile – spiegano i ricercatori – ad un’esplosione nucleare.